Storia o leggenda che sia, è intrigante. Meriterebbe una puntata di Ulisse di Alberto Angela o (il fu) Voyager di Roberto Giacobbo; ogni tanto torna a galla e poi affonda di nuovo tra i mille misteri di una città enigmatica e per questo affascinante, difficile da amare come i milioni di gatti randagi che la popolano, animali ruvidi e reali, anche se qualcuno la chiama la Parigi dell’Arabia Saudita. Jeddah, la seconda città del Regno, quella del porto sul Mar Rosso e della via d’accesso a Medina e La Mecca, significa nonna. “Questa città è la nonna dell’umanità”. La chiamano anche “La sposa del Mar Rosso”, e in entrambi i casi vediamo che c’è di mezzo una donna.
La donna. Eva, la prima femmina del genere umano secondo le Sacre Scritture. Qui a Jeddah è sepolta la sposa di Adamo: lo scopro dopo mesi che vivo da queste parti e non mi sembra una cosa da poco. Come tutto ciò che di bello ha questa metropoli, e’ tenuto bene nascosto, mi fanno notare due connazionali qui da due anni e che mi illuminano sulla vera anima di Jeddah. Ma ogni tanto anche i fiori spuntano dal cemento e in questo caso la storia riaffiora grazie a una mostra fotografica nell’antico quartiere di Al-Balad: il palazzo Al Sharbatly Cultural House ospita al primo piano un’esposizione curata dal Consolato Francese del fotografo parigino Thierry Bouet, 80 scatti nella Ville Lumiere di vita quotidiana tutti fatti davanti ai portoni con il numero civico 1, una bella idea ma non è questo che ha rapito il nostro interesse.
Al piano terra dell’edificio, infatti, troviamo un’altra esposizione, una “summa” dell’immenso patrimonio fotografico che – si narra – sia custodito negli archivi del Consolato Francese, 54 immagini storiche datate 1917 che raccontano la città quando ancora era fatta da qualche casetta e qualche capanna. “La fiancée de la Mer Rouge”, questo il titolo della rassegna, è la raccolta di foto (alcune inedite) che proviene da un membro della missione militare nel 1917 Andrè Alexandre, fotografo amatoriale, e dall’archeologo Raphael Savignac, studioso che ha ritratto i generali, le autorità locali, i prigionieri ottomani, bambini, donne. Tra questi scatti c’è un piccolo edificio bianco con una cupola e poche persone attorno. È lei: la Tomba di Eva.
Si trovava a Nord della città, in un sito archeologico di cui oggi resta nulla, magari ogni tanto capita in qualche discorso, come il fatto che qui nel Paese musulmano per legge esiste anche un cimitero non musulmano, ossia cristiano; come il fatto che forse esistono i resti di una chiesa olandese dove gli ex schiavi si rifugiavano a chiedere da mangiare, forse.
Un articolo del 1928 sul Time suggerisce che la tomba di Eva sia stata prima sigillata con il cemento e poi demolita dalle autorità religiose che temevano che avrebbe portato i fedeli alla deriva, alla shirq, idolatria.
Altre fonti riferiscono che il monumento sia scomparso negli anni ’40 sotto i progetti per lo sviluppo urbano, il che sarebbe coerente con lo “stile saudita”: da un giorno all’altro abbattono edifici per farci altro, chi vive qui lo sa bene e ogni volta che percorre in auto qualche tratta resta spiazzato dai paesaggi improvvisamente rinnovati.
Secondo il Corano, Eva salì sulla cima di una montagna vicino a Jeddah dopo essere stata esiliata da Allah dal paradiso per aver mangiato il frutto proibito. (Poi, per la cronaca, partorì Caino e Abele). Adamo venne “spedito” in un altro picco, più vicino a La Mecca, dove trascorse 40 giorni e 40 notti a piangere per il rimorso.
Nel 1853 l’esploratore inglese Sir Richard Francis Burton esaminò la presunta tomba di Eva camuffato da pellegrino musulmano. Misurò la lunghezza del sepolcro con i suoi passi e lo fece risalire al X Secolo.
E oggi? Chi si spinge fino a Mawkeb Al Iman Street 119 trova un antico cimitero, non si può entrare né fare fotografie, dall’esterno si spiano delle tombe con numeri in arabo, c’è un becchino yemenita che pulisce stancamente, c’è silenzio e si sentono solo i clacson delle auto. Hewwa Cemetery, dove l’arabo Hewwa sta per Eva.
Secondo Mohammed Youssef Tribulsi, autore di una libro su Jeddah e la sua storia, la Tomba di Eva si trova in città, ma nci sono diverse versioni sulla sua reale location. Pazienza. Chi per un giorno si è divertito a sentirsi Alberto Angela o il suo “antenato” Sir Richard Francis Burton resta con un piccolo gruzzoletto di polvere in mano, quella del deserto, e poco altro.
Da “Libero” 14 aprile 2022